Sfogliare e leggere le
pagine del romanzo “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” è come aprire
un baule di balocchi dal fascino antico: un sentimento di stupore e meraviglia
accompagna costantemente il lettore. Tutta la storia è animata da un senso di
dolce nostalgia e da un desiderio profondo di far rivivere il passato. Il tempo, in
tutte le sue forme e nei sentimenti che può generare, ricordo, memoria,
rammarico, sconfitta, amarezza, fascino, mistero, affetto, è infatti
protagonista assoluto del romanzo. Non a caso il giovane Hugo si occupa della manutenzione
degli orologi della stazione di Parigi, città che appare ad un certo
punto ai due personaggi, che la guardano dall’alto, come un gigantesco e
perfetto ingranaggio di un orologio meccanico. E l’esperienza traumatica di
fare i conti con il proprio passato è senza dubbio il tema centrale del romanzo.
Preparati a leggere un libro
unico, che riserva ad ogni cambio pagina una sorpresa. La parola scritta è
intrecciata, in un perfetto equilibrio narrativo, a splendide tavole a
carboncino, a fotogrammi di celebri film muti, agli schizzi immaginifici dal
sapore ariostesco del regista Méliès ed a curiose fotografie d’epoca. Ogni pagina
è poi incorniciata da una riquadratura nera, come se il lettore si trovasse
immerso nel buio di una sala cinematografica e la pagina fosse lo schermo. E
infatti nella breve introduzione il narratore chiede proprio questo ai lettori: «…prima che voltiate pagina, voglio che
immaginiate voi stessi, seduti nel buio, come all’inizio di un film».
Ciò che
rende eccezionale questo romanzo è sicuramente la sua dimensione fisica: è un
romanzo da gustare con gli occhi, da guardare oltre che da leggere. Ma non
manca nemmeno la piacevolezza di una storia ricca di emozione e carica di
sentimento, che racconta la commovente storia di un incontro tra un bambino
rimasto orfano e un vecchio burbero proprietario di un negozio di giocattoli,
dal passato misterioso. Come non menzionare poi un altro protagonista di questa
storia: il cinema. Il cinema che sapeva far sognare, sbalordire il suo pubblico
regalando agli occhi degli spettatori scintille di meraviglia. Una delle
rivelazioni più preziose di questa storia è proprio questa: non bisogna rinnegare
i propri sogni, diventando vittime delle disillusioni, perché forse un giorno
può capitare di incontrare qualcuno che vorrà condividere quegli stessi sogni
con te.
Da questo romanzo di Brian
Selznick è stato tratto anche un film diretto dal grande regista Martin
Scorsese. Ho trovato questo film molto deludente: una pedissequa riproduzione
della storia che però perde di fascino e sentimento rispetto al romanzo. A mio
parere anche la recitazione dei due giovani protagonista è stata resa troppo
costruita e controllata, risultando così fredda e priva di quella freschezza e ingenuità
proprie dell’infanzia. Il fatto poi che il film sia uscito nelle sale anche in versione
3D ha dato il colpo di grazia al sapore antico e nostalgico che rendeva
questa storia tanto coinvolgente e fascinosa.
Perciò il mio consiglio è:
non guardare questa storia sullo schermo, ma apri il libro e immagina di essere
seduto nel buio, come all’inizio di un film, e di vedere su uno schermo sorgere
il sole mentre la macchina da presa inquadra una stazione nel cuore di Parigi…
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