Una storia, l'ultimo lavoro di Gipi, è a dispetto del titolo una
anti-storia, che sfida il lettore facendo scomparire quasi del tutto i dialoghi
e la trama, e lasciando parlare soltanto le suggestioni spiazzanti provocate da
tavole che non lasciano scampo, che funzionano come il grido assordante e afono
dell'"Urlo" di Munch.
Gipi, durante la presentazione del volume al Museo Wow di Milano, ha
infatti dichiarato di aver iniziato questo lavoro in modo istintivo e di aver
portato avanti la sua ricerca confidando nei lettori e nella loro capacità di
empatia con il suo racconto.
Così, all’inizio del volume, sono nate intere
pagine in cui chi legge è trascinato da un vortice di immagini incomprensibili,
in cui regna il malessere, il caos, il disordine. Il tutto presentato senza
filtro, nell'assenza di una voce fuori campo, di una guida, di un narratore che
prenda per mano: sequenze che hanno l'effetto di una ripresa soggettiva,
coinvolgente quanto destabilizzante. Soltanto procedendo con la lettura ci
si rende conto che si sta raccontando il travaglio di una mente devastata dalla
follia.
Gipi, durante l'incontro di Milano, ha detto che questo suo lavoro
prende le mosse da un confronto-paradosso: da una parte un uomo d'oggi, che ha
tutte le possibilità per essere felice ma non riesce ad esserlo, e dall’altra il
suo bisnonno che, pur costretto giovanissimo alla guerra in trincea, combatte
con ogni fibra del proprio corpo per continuare a vivere e tornare dalla donna
che ama. Due premesse opposte che spingono verso esistenze che le
contraddicono. Il risultato di questa sorta di esperimento di osservazione apre uno squarcio sulla complessità della natura
umana, che spesso diventa nei meandri labirintici della propria coscienza inadeguata rispetto alla
realtà in cui si trova a vivere.
Le immagini che tornano più ricorrenti nelle pagine sono quelle di una
stazione di servizio e di un albero senza foglie. Gipi ha spiegato
che la prima è la tavola con cui ha iniziato a disegnare "Una
storia", ed è nata senza premeditazione e senza avere inizialmente un proprio specifico
significato; poi, per non rendere il racconto troppo autoreferenziale, ha in un
secondo momento deciso di dare a questo scenario un ruolo a livello di trama
rendendolo il luogo della fine di un amore del protagonista.
La seconda, l’immagine di un albero solitario che svetta con i suoi rami
secchi, è invece la riproduzione di un’immagine mentale che l’autore ha
immaginato vedendo una volta un proprio caro, ormai anziano e agli ultimi giorni di vita,
circondato in una camera d’ospedale dalla sua numerosissima famiglia, ricordo
questo che gli ha fatto pensare ad un enorme albero, in cui ogni ramo e foglia
è un’esistenza nuova che si origina dal tronco maestro. Nell’albero senza
foglie Gipi, che ha detto di aver trovato un suo modo di raccontare soltanto
dopo aver capito che per fare storie non serve avere dentro di sé una forte
immaginazione, ma piuttosto imparare a guardare la realtà, vede un uomo, che è
solo, ma che comunque continua a vivere nel suo levarsi verso l’alto, nella sua
aspirazione a uscire da sé e levare una voce.
L’incontro di Milano con Gipi, forse è chiaro e non serve dirlo, è stato un
momento di forte riflessione sulla potenza di una storia raccontata e sul filo
magico che unisce ogni lettore ad un racconto. Qui ho tentato di riassumere soltanto
alcuni dei momenti di questa conversazione, resta però ancora la possibilità,
unica, di vedere esposte tutte le tavole ad acquerello originali di “Una
storia”, fino al 16 marzo al Museo Wow di Milano. Un’occasione da non perdere
per ammirare la bellezza tragica di questo lavoro e lasciarsi interrogare da
immagini che sanno smuovere in chi le guarda qualcosa di profondo.
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