Recentemente ho visitato la mostra di Palazzo Reale di
Milano dedicata a Tiziano e l’invenzione del paesaggio nella pittura veneta del
Cinquecento.
La mostra è allestita secondo un criterio tematico e non cronologico:
ogni sala vuole soffermarsi su un aspetto della rivoluzionaria gestazione che
ha fatto del paesaggio non più un semplice sfondo, ma un elemento significante
dell’opera.
Il percorso prende avvio dal testo di una lettera, datata 11
ottobre 1552 e indirizzata a Filippo II, futuro re di Spagna, da Tiziano in cui
per la prima volta viene impiegata nella storia dell’arte e nella lingua
italiana la parola “paesaggio”.
Penso che sia una mostra difficile perché richiede lo sforzo
di comprendere la carica innovativa in opere che al nostro occhio appaiono come
canoniche, seppur di indubbio valore artistico.
I capolavori non mancano, mi riferisco al “Crocifisso con
cimitero ebraico” di Bellini, alla “Prova del fuoco di Mosè” di Giorgione, alla
“Madonna con bambino” di Cima da Conegliano, alla “Madonna col bambino e santi
Costantino, Elena e Giovannino” di Veronese e al “Narciso” di Tintoretto; ma a
fronte di queste opere d’eccezione si trova un buon numero di quadri minori che
servono solo ad appesantire il percorso espositivo ed emotivo della mostra. Non
riuscirò mai a capire perché spesso le mostre vengono costruite privilegiando
la quantità alla qualità, e trovo spesso anche fuori luogo la scelta dei
titoli: perché presentare Tiziano come il protagonista dell’esposizione quando
in mostra troviamo solo quattro opere del maestro, e per di più tutte
circostanziate al suo periodo giovanile?
Insomma, una mostra che offre sicuramente la visione di
opere di alta qualità, ma che ho trovato poco riuscita per i criteri espositivi seguiti.
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