In
concomitanza con la design week e il Salone del Mobile è tornata anche
quest’anno la kermesse del Fuorisalone. Milano è per una settimana letteralmente
invasa da installazioni, interventi creativi, allestimenti, esposizioni. Le
creazioni trovano collocazione anche nelle tradizionali istituzioni museali
proponendone inediti percorsi e interpretazioni. Personalmente credo che il
Fuorisalone abbia il merito complessivo di rendere la città vivace e incuriosire,
attraverso sperimentazioni e creatività; che poi questi progetti possano tutti dirsi
ben riusciti è un’altra questione. Pertanto, a fronte di un clima di generale
entusiasmo ed euforia, mi faccio guidare da una sano istinto di selezione, per
evitare perplessità e delusioni.
Quest’anno
la mia prima scelta è caduta con successo su l’installazione Alik Wonderland.
Giocando sul nome dello scultore, Alik, e la giovane creatura letteraria di Lewis
Carroll, Alice, i designer Francesca Molteni /
Muse con Margherita Palli / NABA, Alice Gramigna e Gianluca Cesana / A2arch,
hanno creato una proiezione fantastica del Paese delle Meraviglie nel Centro
Artistico dedicato allo scultore Alik Cavaliere, che negli ambienti di quella
che è ora la fondazione a lui dedicata ha lavorato negli ultimi dieci anni
della sua attività, dando vita, con le sue sculture-installazioni, ad un personale
e unico spazio onirico.
A
ricreare l’atmosfera magica della favola un allestimento multimediale
innovativo, costruito con la proiezione sulla fibra I-Mesh di simboli e
frammenti del mondo fantastico di Alice: il coniglio bianco, un enorme
cappello, lettere dell’alfabeto e i numeri, i cuori delle carte da gioco, una
teiera… nel mentre a segnare il giorno e il mese, ma non le ore, come nella
perenne ora del tè alla tavola del Cappellaio Matto, gli orologi Mirror,
disegnati da Marco Acerbis per Diamantini&Domeniconi.
Il
Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll trova una perfetta sintonia col mondo
immaginifico dello scultore Alik Cavaliere, per il quale ogni scultura doveva
essere un racconto da vivere con la fantasia. Come diceva Arturo Schwarz le
opere di Alik Cavaliere emanano una forte poesia perché ogni sua scultura è un
fatto iniziatico, che ci rivela un aspetto della realtà che cessa di essere
comune e va oltre l’apparenza, il dato reale. Arturo Schwarz lo definiva un
“erede ideale del dadaismo e del surrealismo” perché come i dadaisti Alik
Cavaliere fece tabula rasa e cercò di inventarsi un proprio mondo e un modo
personalissimo di fare scultura, ma, come i surrealisti, non si limitò a voler
riflettere una realtà quotidiana, indagando nel proprio sé più intimo per far
affiorare quello che Jung chiamava l’“inconscio collettivo”. Perciò gli alberi
di Cavaliere, uno dei soggetti più indagato dallo scultore, non sono più
soltanto alberi, ma diventano simbolo, archetipo, diventano l’albero della
Saggezza, dell’Eden primordiale.
Come
la reinterpretazione dello spazio-laboratorio di Alik Cavaliere in occasione
del Fuorisalone, Alik Cavaliere creò negli anni Settanta opere-palcoscenico,
opere multimediali. Il suo motto era la totale libertà dai materiali: nessun
limite nella sperimentazione e nella ricerca del materiale utile alla significazione,
all’esigenza espressiva. Perciò gli strumenti del suo lavoro furono metalli,
colori, vetro, porcellana, film, proiezioni, luce, strumenti meccanici e
elettrici, musica, oggetti trovati, persino acqua. Un’unica guida: spaziare per
soddisfare la propria esigenza descrittiva, narrativa, espressiva.
Per
Alik Cavaliere la scultura così com’egli la concepisce deve essere un racconto,
aperto, in modo che sia lasciato libero spazio alla fantasia dello spettatore, in
modo che l’opera possa entrare in un fecondo rapporto dialettico con chi la
osserva. Miti, archetipi, immagini sono gli ingredienti dell’opera di
Cavaliere, che raggiunge esiti di forte tensione e drammaticità, non privi di
una certa ironia e bagliori di speranza nelle continue metamorfosi della
natura. Come nell’opera Apollo e Dafne dove Dafne diventa il simbolo della
natura che si riappropria dei suoi diritti, incarnazione di un riscatto
universale del genere umano tornato “nella pienezza delle sue possibilità
vitali”.
Alik
Cavaliere si sarebbe con molta probabilità sentito a suo agio nella sua reincarnazione Alik
Wonderland, se prestiamo ascolto a ciò che ripeteva parlando del suo lavoro: “raccontare
mi è sempre piaciuto. Raccontare per allusioni, per sottointesi, per metafore,
per accenti, usando più strumenti e più possibilità d’interpretazione è una
cosa che mi ha sempre affascinato, anche per rispetto di chi guarda, che non
deve essere posto davanti all’assoluto, al chiuso, al perfetto, ma a qualche
cosa che lo coinvolga e lo stimoli; e se trova l’errore tanto meglio, perché è
un punto da cui ripartire”.
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