Una visita
alla Triennale di Milano è sempre una piacevole scoperta, tanto che quasi dovrebbe
essere consigliata dal medico, al pari di una passeggiata in montagna per
respirare aria buona. Perciò consiglio di farci un salto periodicamente, senza
lasciar passare troppo tempo tra una visita e l’altra. E questo perché in
Triennale c’è sempre qualcosa di nuovo, una mostra da non perdere, oltre al
permanente Museo del Design.
La mia
ultima visita mi ha riservato delle piacevoli sorprese, e non ne avevo dubbi.
Nell’atrio
d’ingresso ho provato “meraviglia” di fronte alla “meraviglia esercitata”,
perdona il gioco di parole, dagli studenti dell’Atelier di Riccardo Blumer
all’Accademia di Architettura USI, i cui esperimenti indagano la relazione tra
spazio, corpo, movimento e suono.
Si va dalla carovana di megafoni della
performance sonora de La processione degli architetti,
fino agli
esperimenti neofuturisti della fusione dei corpi in movimento con lo spazio,
ispirati dalla lettura delle metamorfosi di Ovidio, nell’happening “Architetti
in Ri-voluzione”
e alle
poetiche forme plastiche in movimento che riproducono i moti delle nuvole in
“Come si muovono le nuvole”.
Performance,
installazioni e modelli tridimensionali costituiscono lo sperimentale percorso
propedeutico all’architettura proposto dal professor Blumer agli studenti del
primo anno, con lo scopo di dimostrare la necessità del senso della meraviglia,
perché solo attraverso esso si percepisce il legame tra realtà e bellezza, tra
verità fenomenica e perciò architettura, in quanto realtà fisica, ed estetica.
Non mi sono persa
la mostra-omaggio dedicata a Gau Aulenti, che indaga un aspetto meno valorizzato
della sua ricerca artistica rispetto a quello della progettazione urbanistica e
architettonica: il legame con gli oggetti del quotidiano, il design.
Mi sono poi
diretta alla mostra di Velasco Vitali “Foresta Rossa. 416 città fantasma nel
mondo”. Un progetto-censimento, ancora in
fieri, che parte dal proposito di raccontare tutte quelle città ormai
orfane, abbandonate, costrette a pallidi riflessi di qualcosa che furono o che
dovevano diventare, come torri di babele destinate al fallimento e alla
distruzione. Nella prima sala si leggono le storie di questi non-luoghi e si
scoprono le vicende di alcune di queste ex-città.
L’isola
fantasma di Hashima, nata per l’estrazione di carbone e abbandonata per la
corsa al petrolio, oggi scenario apocalittico che ha ispirato le grafiche di
alcuni videogiochi.
Kolmanskop,
in Namibia, spopolata dopo la prima guerra mondiale per la diminuzione
dell’attività estrattiva dei diamanti, e progressivamente inghiottita dalle
dune di sabbia.
La
fatiscente Michigan Central Station, oggi messa in vendita ma ancora orfana di
proprietario, inutilizzata con la diffusione su larga scala dell’automobile.
San Zhi, a
nord di Taiwan, pensata come rifugio futuristico per vacanze di extra lusso di
vip, fu vittima di una campagna edilizia fallimentare per cui i costosissimi
piani di progettazione e costruzione rimasero incompiuti e abbandonati
all’incuria del tempo.
Ayutthaya,
splendida ex-capitale thailandese, per vicissitudini storiche sostituita nel
suo ruolo di capitale da Bangkok e oggi centro storico tutelato dall’Unesco.
Nella
seconda sala, enorme, dalle pareti bianchissime e illuminata da una luce
zenitale, le grandi tele su cui sono raffigurati scorci di queste città
fantasma, realizzati con tecniche miste, sono abbaglianti apparizioni di
qualcosa che fu un tempo ed oggi non è più.
Se le
splendide mostre non fossero già un sufficiente motivo per fare una visita,
ricordo che senza pagare nessun biglietto si può entrare in una tra le più
belle librerie d’arte della città, dove periodicamente ci sono sconti su
cataloghi di mostre passate, e fare una pausa nel caffè all’aperto, affacciato
sul parco di sculture.
Qui si trova
un capolavoro: i Bagni Misteriosi di
De Chirico. Due nuotatori, un cigno, una palla, una cabina, un trampolino e una
fonte, un enigma che sembra un dipinto metafisico in 3D, con tutto il senso di
sospensione e spaesamento tipico della produzione del pittore.
Infine, alla
stazione di Cadorna ho preso la metropolitana per tornare a casa, proprio nel
piazzale riorganizzato e riqualificato da Gae Aulenti perché «lo spazio aveva perso, nel tempo, il
suo significato di “luogo pubblico” ed era solamente un luogo di transito
veloce, di attraversamento e di soste piratesche dei veicoli: la sensazione che
se ne riceveva era di grande disordine e disorientamento. Si è voluto quindi
ridefinire la figura della piazza attraverso la razionalizzazione della
circolazione automobilistica ed il disegno di uno spazio pubblico
contemporaneamente di sosta e di transito pedonale verso la stazione, le linee
della metropolitana, i bus, i tram, i taxi, stabilendo quali elementi
determinanti la geometria complessiva, le gerarchie spaziali ed assiali esistenti». Ad attraversare la piazza la
gigantesca scultura di Claes Oldenburg e Coosie Van Bruggen raffigurante un
gigantesco ago, filo e nodo a voler simboleggiare l’operosità e la laboriosità
milanese.
Il mio
consiglio è di visitare la Triennale, di spenderci lì del tempo perché, oltre
ad essere uno splendido ed elegante contenitore d’arte, è prima di tutto un
luogo da vivere.
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