lunedì 29 aprile 2013

Fuorisalone 2013 (I parte): Alik Wonderland


In concomitanza con la design week e il Salone del Mobile è tornata anche quest’anno la kermesse del Fuorisalone. Milano è per una settimana letteralmente invasa da installazioni, interventi creativi, allestimenti, esposizioni. Le creazioni trovano collocazione anche nelle tradizionali istituzioni museali proponendone inediti percorsi e interpretazioni. Personalmente credo che il Fuorisalone abbia il merito complessivo di rendere la città vivace e incuriosire, attraverso sperimentazioni e creatività; che poi questi progetti possano tutti dirsi ben riusciti è un’altra questione. Pertanto, a fronte di un clima di generale entusiasmo ed euforia, mi faccio guidare da una sano istinto di selezione, per evitare perplessità e delusioni.
Quest’anno la mia prima scelta è caduta con successo su l’installazione Alik Wonderland. Giocando sul nome dello scultore, Alik, e la giovane creatura letteraria di Lewis Carroll, Alice, i designer Francesca Molteni / Muse con Margherita Palli / NABA, Alice Gramigna e Gianluca Cesana / A2arch, hanno creato una proiezione fantastica del Paese delle Meraviglie nel Centro Artistico dedicato allo scultore Alik Cavaliere, che negli ambienti di quella che è ora la fondazione a lui dedicata ha lavorato negli ultimi dieci anni della sua attività, dando vita, con le sue sculture-installazioni, ad un personale e unico spazio onirico.
 
A ricreare l’atmosfera magica della favola un allestimento multimediale innovativo, costruito con la proiezione sulla fibra I-Mesh di simboli e frammenti del mondo fantastico di Alice: il coniglio bianco, un enorme cappello, lettere dell’alfabeto e i numeri, i cuori delle carte da gioco, una teiera… nel mentre a segnare il giorno e il mese, ma non le ore, come nella perenne ora del tè alla tavola del Cappellaio Matto, gli orologi Mirror, disegnati da Marco Acerbis per Diamantini&Domeniconi.

 
 
 
 
 Il Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll trova una perfetta sintonia col mondo immaginifico dello scultore Alik Cavaliere, per il quale ogni scultura doveva essere un racconto da vivere con la fantasia. Come diceva Arturo Schwarz le opere di Alik Cavaliere emanano una forte poesia perché ogni sua scultura è un fatto iniziatico, che ci rivela un aspetto della realtà che cessa di essere comune e va oltre l’apparenza, il dato reale. Arturo Schwarz lo definiva un “erede ideale del dadaismo e del surrealismo” perché come i dadaisti Alik Cavaliere fece tabula rasa e cercò di inventarsi un proprio mondo e un modo personalissimo di fare scultura, ma, come i surrealisti, non si limitò a voler riflettere una realtà quotidiana, indagando nel proprio sé più intimo per far affiorare quello che Jung chiamava l’“inconscio collettivo”. Perciò gli alberi di Cavaliere, uno dei soggetti più indagato dallo scultore, non sono più soltanto alberi, ma diventano simbolo, archetipo, diventano l’albero della Saggezza, dell’Eden primordiale.
 
 
 
Come la reinterpretazione dello spazio-laboratorio di Alik Cavaliere in occasione del Fuorisalone, Alik Cavaliere creò negli anni Settanta opere-palcoscenico, opere multimediali. Il suo motto era la totale libertà dai materiali: nessun limite nella sperimentazione e nella ricerca del materiale utile alla significazione, all’esigenza espressiva. Perciò gli strumenti del suo lavoro furono metalli, colori, vetro, porcellana, film, proiezioni, luce, strumenti meccanici e elettrici, musica, oggetti trovati, persino acqua. Un’unica guida: spaziare per soddisfare la propria esigenza descrittiva, narrativa, espressiva.
 
 
Per Alik Cavaliere la scultura così com’egli la concepisce deve essere un racconto, aperto, in modo che sia lasciato libero spazio alla fantasia dello spettatore, in modo che l’opera possa entrare in un fecondo rapporto dialettico con chi la osserva. Miti, archetipi, immagini sono gli ingredienti dell’opera di Cavaliere, che raggiunge esiti di forte tensione e drammaticità, non privi di una certa ironia e bagliori di speranza nelle continue metamorfosi della natura. Come nell’opera Apollo e Dafne dove Dafne diventa il simbolo della natura che si riappropria dei suoi diritti, incarnazione di un riscatto universale del genere umano tornato “nella pienezza delle sue possibilità vitali”.
 
 
 Anche Alik Cavaliere aveva creato una sua Alice e un Paese delle Meraviglie. Parlando dell’opera “Susi e il Giardino”, usava raccontare di “percorsi labirintici dove ci si può inoltrare, perdere, ritornare indietro, ritrovare una serie di ricordi. E poi tra cielo, terra, acqua… uno ha un momento attuale. Attuale, il giardino del sogno, il giardino incantato”.
 
 
Alik Cavaliere si sarebbe con molta probabilità sentito a suo agio nella sua reincarnazione Alik Wonderland, se prestiamo ascolto a ciò che ripeteva parlando del suo lavoro: “raccontare mi è sempre piaciuto. Raccontare per allusioni, per sottointesi, per metafore, per accenti, usando più strumenti e più possibilità d’interpretazione è una cosa che mi ha sempre affascinato, anche per rispetto di chi guarda, che non deve essere posto davanti all’assoluto, al chiuso, al perfetto, ma a qualche cosa che lo coinvolga e lo stimoli; e se trova l’errore tanto meglio, perché è un punto da cui ripartire”.










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