domenica 1 settembre 2013

Una giornata in Triennale…


 
In Triennale si può trascorrere un’intera giornata, di arte e relax. E quale tempo migliore per concedersi questo, se non la fine dell’estate, quando abbiamo bisogno di un lento e graduale rientro nei ritmi di ogni giorno?

Una visita alla Triennale di Milano è sempre una piacevole scoperta, tanto che quasi dovrebbe essere consigliata dal medico, al pari di una passeggiata in montagna per respirare aria buona. Perciò consiglio di farci un salto periodicamente, senza lasciar passare troppo tempo tra una visita e l’altra. E questo perché in Triennale c’è sempre qualcosa di nuovo, una mostra da non perdere, oltre al permanente Museo del Design.

La mia ultima visita mi ha riservato delle piacevoli sorprese, e non ne avevo dubbi.

Nell’atrio d’ingresso ho provato “meraviglia” di fronte alla “meraviglia esercitata”, perdona il gioco di parole, dagli studenti dell’Atelier di Riccardo Blumer all’Accademia di Architettura USI, i cui esperimenti indagano la relazione tra spazio, corpo, movimento e suono.
 

Si va dalla carovana di megafoni della performance sonora de La processione degli architetti,
 
alla reinterpretazione del principio rinascimentale dell’uomo come misura di tutte le cose, nell’istallazione “L’uomo come misura topologica della città”,



fino agli esperimenti neofuturisti della fusione dei corpi in movimento con lo spazio, ispirati dalla lettura delle metamorfosi di Ovidio, nell’happening “Architetti in Ri-voluzione”


 

e alle poetiche forme plastiche in movimento che riproducono i moti delle nuvole in “Come si muovono le nuvole”.


 

Performance, installazioni e modelli tridimensionali costituiscono lo sperimentale percorso propedeutico all’architettura proposto dal professor Blumer agli studenti del primo anno, con lo scopo di dimostrare la necessità del senso della meraviglia, perché solo attraverso esso si percepisce il legame tra realtà e bellezza, tra verità fenomenica e perciò architettura, in quanto realtà fisica, ed estetica.

Non mi sono persa la mostra-omaggio dedicata a Gau Aulenti, che indaga un aspetto meno valorizzato della sua ricerca artistica rispetto a quello della progettazione urbanistica e architettonica: il legame con gli oggetti del quotidiano, il design.
 
L’esposizione è organizzata in un’unica sala in cui è stata allestita una sorta di cronistoria delle sue originali invenzioni, che dimostrano una straordinaria abilità nel saper reinterpretare i gusti e gli stili del passato per creare qualcosa di nuovo e familiare allo stesso tempo, in un’emulazione creativa con gli stili Liberty e Art Déco, come nel caso della celebre lampada da tavolo Pipistrello o nella poltrona Sgarsul, e nel geniale recupero della tecnica dell’assemblage, tanto caro alle Avanguardie storiche, nel Tavolo con ruote.





Mi sono poi diretta alla mostra di Velasco Vitali “Foresta Rossa. 416 città fantasma nel mondo”. Un progetto-censimento, ancora in fieri, che parte dal proposito di raccontare tutte quelle città ormai orfane, abbandonate, costrette a pallidi riflessi di qualcosa che furono o che dovevano diventare, come torri di babele destinate al fallimento e alla distruzione. Nella prima sala si leggono le storie di questi non-luoghi e si scoprono le vicende di alcune di queste ex-città.
 
Kalyazin, che sorgeva sulle rive del Volga, oggi sommersa dall’acqua per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica.
 

L’isola fantasma di Hashima, nata per l’estrazione di carbone e abbandonata per la corsa al petrolio, oggi scenario apocalittico che ha ispirato le grafiche di alcuni videogiochi.
 
 
Kangbashi, la metropoli cinese costruita e mai abitata, insieme città boom e città fantasma e Grand-Bassam, lontana capitale coloniale della Costa d’Avorio, messa in ginocchio da una nube di febbre gialla, e oggi lentamente in via di ripopolamento, tanto che un canestro è spuntato tra le palme.



Kolmanskop, in Namibia, spopolata dopo la prima guerra mondiale per la diminuzione dell’attività estrattiva dei diamanti, e progressivamente inghiottita dalle dune di sabbia.
 

La fatiscente Michigan Central Station, oggi messa in vendita ma ancora orfana di proprietario, inutilizzata con la diffusione su larga scala dell’automobile.  
 
 
Skrunda-1, l’ex base militare sovietica situata in Lettonia, abbandonata con la fine della Guerra Fredda.


San Zhi, a nord di Taiwan, pensata come rifugio futuristico per vacanze di extra lusso di vip, fu vittima di una campagna edilizia fallimentare per cui i costosissimi piani di progettazione e costruzione rimasero incompiuti e abbandonati all’incuria del tempo.
 

Ayutthaya, splendida ex-capitale thailandese, per vicissitudini storiche sostituita nel suo ruolo di capitale da Bangkok e oggi centro storico tutelato dall’Unesco.
 

Nella seconda sala, enorme, dalle pareti bianchissime e illuminata da una luce zenitale, le grandi tele su cui sono raffigurati scorci di queste città fantasma, realizzati con tecniche miste, sono abbaglianti apparizioni di qualcosa che fu un tempo ed oggi non è più.
 
Il toccante reportage di Velasco Vitali prende il nome “Foresta rossa” da quella che è forse la testimonianza più emotiva tra tutte: il parco giochi della città di Pripjat avrebbe dovuto essere inaugurato dopo qualche giorno, ma il 26 aprile 1986 gli alberi attorno al parco divennero scarlatti nel punto più colpito dalla radioattività per l’incidente della centrale nucleare di Černobyl’ e la gente in fuga per l’evacuazione soprannominò questo luogo Foresta rossa, poco prima di abbandonarlo.


Se le splendide mostre non fossero già un sufficiente motivo per fare una visita, ricordo che senza pagare nessun biglietto si può entrare in una tra le più belle librerie d’arte della città, dove periodicamente ci sono sconti su cataloghi di mostre passate, e fare una pausa nel caffè all’aperto, affacciato sul parco di sculture.




Qui si trova un capolavoro: i Bagni Misteriosi di De Chirico. Due nuotatori, un cigno, una palla, una cabina, un trampolino e una fonte, un enigma che sembra un dipinto metafisico in 3D, con tutto il senso di sospensione e spaesamento tipico della produzione del pittore.
 

 

Infine, alla stazione di Cadorna ho preso la metropolitana per tornare a casa, proprio nel piazzale riorganizzato e riqualificato da Gae Aulenti perché «lo spazio aveva perso, nel tempo, il suo significato di “luogo pubblico” ed era solamente un luogo di transito veloce, di attraversamento e di soste piratesche dei veicoli: la sensazione che se ne riceveva era di grande disordine e disorientamento. Si è voluto quindi ridefinire la figura della piazza attraverso la razionalizzazione della circolazione automobilistica ed il disegno di uno spazio pubblico contemporaneamente di sosta e di transito pedonale verso la stazione, le linee della metropolitana, i bus, i tram, i taxi, stabilendo quali elementi determinanti la geometria complessiva, le gerarchie spaziali ed assiali esistenti». Ad attraversare la piazza la gigantesca scultura di Claes Oldenburg e Coosie Van Bruggen raffigurante un gigantesco ago, filo e nodo a voler simboleggiare l’operosità e la laboriosità milanese.

 

Il mio consiglio è di visitare la Triennale, di spenderci lì del tempo perché, oltre ad essere uno splendido ed elegante contenitore d’arte, è prima di tutto un luogo da vivere.
 
 
Informazioni utili:
Per arrivare alla Triennale consiglio di scendere a Cadorna (MM 2), imboccare viale Alemagna tenendosi sulla destra fino a destinazione.
Le mostre di Gae Aulenti e Velasco Vitali sono aperte fino all'8 settembre!
 
 
 
 
 
 
 
 
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