giovedì 27 febbraio 2014

"Una storia" di Gipi





Una storia, l'ultimo lavoro di Gipi, è a dispetto del titolo una anti-storia, che sfida il lettore facendo scomparire quasi del tutto i dialoghi e la trama, e lasciando parlare soltanto le suggestioni spiazzanti provocate da tavole che non lasciano scampo, che funzionano come il grido assordante e afono dell'"Urlo" di Munch.
 

 
 

Gipi, durante la presentazione del volume al Museo Wow di Milano, ha infatti dichiarato di aver iniziato questo lavoro in modo istintivo e di aver portato avanti la sua ricerca confidando nei lettori e nella loro capacità di empatia con il suo racconto.
Così, all’inizio del volume, sono nate intere pagine in cui chi legge è trascinato da un vortice di immagini incomprensibili, in cui regna il malessere, il caos, il disordine. Il tutto presentato senza filtro, nell'assenza di una voce fuori campo, di una guida, di un narratore che prenda per mano: sequenze che hanno l'effetto di una ripresa soggettiva, coinvolgente quanto destabilizzante. Soltanto procedendo con la lettura ci si rende conto che si sta raccontando il travaglio di una mente devastata dalla follia.
 
Gipi, durante l'incontro di Milano, ha detto che questo suo lavoro prende le mosse da un confronto-paradosso: da una parte un uomo d'oggi, che ha tutte le possibilità per essere felice ma non riesce ad esserlo, e dall’altra il suo bisnonno che, pur costretto giovanissimo alla guerra in trincea, combatte con ogni fibra del proprio corpo per continuare a vivere e tornare dalla donna che ama. Due premesse opposte che spingono verso esistenze che le contraddicono. Il risultato di questa sorta di esperimento di osservazione apre uno squarcio sulla complessità della natura umana, che spesso diventa nei meandri labirintici della propria coscienza inadeguata rispetto alla realtà in cui si trova a vivere.
 
 
 
Le immagini che tornano più ricorrenti nelle pagine sono quelle di una stazione di servizio e di un albero senza foglie. Gipi ha spiegato che la prima è la tavola con cui ha iniziato a disegnare "Una storia", ed è nata senza premeditazione e senza avere inizialmente un proprio specifico significato; poi, per non rendere il racconto troppo autoreferenziale, ha in un secondo momento deciso di dare a questo scenario un ruolo a livello di trama rendendolo il luogo della fine di un amore del protagonista.
 

 
La seconda, l’immagine di un albero solitario che svetta con i suoi rami secchi, è invece la riproduzione di un’immagine mentale che l’autore ha immaginato vedendo una volta un proprio caro, ormai anziano e agli ultimi giorni di vita, circondato in una camera d’ospedale dalla sua numerosissima famiglia, ricordo questo che gli ha fatto pensare ad un enorme albero, in cui ogni ramo e foglia è un’esistenza nuova che si origina dal tronco maestro. Nell’albero senza foglie Gipi, che ha detto di aver trovato un suo modo di raccontare soltanto dopo aver capito che per fare storie non serve avere dentro di sé una forte immaginazione, ma piuttosto imparare a guardare la realtà, vede un uomo, che è solo, ma che comunque continua a vivere nel suo levarsi verso l’alto, nella sua aspirazione a uscire da sé e levare una voce.

L’incontro di Milano con Gipi, forse è chiaro e non serve dirlo, è stato un momento di forte riflessione sulla potenza di una storia raccontata e sul filo magico che unisce ogni lettore ad un racconto. Qui ho tentato di riassumere soltanto alcuni dei momenti di questa conversazione, resta però ancora la possibilità, unica, di vedere esposte tutte le tavole ad acquerello originali di “Una storia”, fino al 16 marzo al Museo Wow di Milano. Un’occasione da non perdere per ammirare la bellezza tragica di questo lavoro e lasciarsi interrogare da immagini che sanno smuovere in chi le guarda qualcosa di profondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
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